Virginia Centurione Bracelli nacque a Genova il 2 aprile 1587, da genitori appartenenti entrambi all’aristocrazia genovese, Giorgio Centurione e Lelia Spinola. Il padre era stato procuratore, senatore, governatore della Corsica e doge della Repubblica dal 1621 al 1623. Da quest’ultimo ereditò coraggio e temperamento, dalla madre i valori cristiani.

Pur manifestando fin dalla fanciullezza l’inclinazione per la vita claustrale, all’età di 15 anni dovette andare sposa per volontà del padre a Gaspare Grimaldi Bracelli, da cui ebbe due figlie, Lelia e Isabella. Gaspare, a causa delle sue sregolatezze, morì tisico ad Alessandria nel 1607 e Virginia, superando le resistenze del padre, lo raggiunse ad Alessandria per assisterlo affettuosamente in punto di morte.

Rimasta vedova a soli 20 anni Virginia fece voto di castità perpetua e visse ritirata in casa della suocera, Maddalena Lomellini, curando l’educazione delle figlie e dedicandosi alla preghiera e alla beneficenza.

Dopo le nozze delle figlie, nel 1617 e nel 1621, Virginia si dedicò a tempo pieno alla cura dei fanciulli abbandonati, dei vecchi, dei malati, degli emarginati. Sollecitò le autorità cittadine ad intervenire per alleviare le sofferenze dei poveri. Uno degli interventi più significativi di Virginia Centurione Bracelli è stato l’aiuto dato alle Chiese povere, alle quali donava danaro, vestiti preziosi e velluti utilizzati per realizzare paramenti.

Le “cento dame”

La guerra tra la Repubblica Ligure ed il Duca di Savoia e il conseguente aumento del numero dei profughi in città, indusse Virginia, nell’inverno del 1624-1625, ad aiutare quanti più poveri, specialmente donne, le fu possibile. Per i poveri spese le sue sostanze e poi si fece questuante. Bussò a tutte le porte, attraversò tutte le strade.

Coinvolse, nel 1926, le signore dell’aristocrazia cittadina, riunendole in un’associazione di volontarie che chiamò delle “cento dame”. Le “cento dame”, istituzione originata da una convinta scelta religiosa, fu in grado con la visita puntigliosa dei quartieri di Genova, di tracciare una geografia completa della povertà genovese e di rispondere tempestivamente ai casi più urgenti.

Il “Rifugio” di Monte Calvario

Una notte d’inverno udì il pianto disperato di una fanciulla abbandonata al freddo e ai pericoli della strada e l’accolse in casa. Da allora e dopo la morte della suocera, nell’agosto del 1625, cominciò non solo ad accogliere le giovani che arrivavano spontaneamente, ma andòessa stessa per la città, particolarmente nei quartieri più malfamati, in cerca di quelle più bisognose.  Quando il suo palazzo non potè più bastare prese in affitto dal principe Doria il monastero di Monte Calvario, un ricovero che ella stessa chiamò “Rifugio”, per accogliere le molte giovani abbandonate. Monte Calvario divenne davvero un rifugio in cui Virginia, che non rifiutò mai nessuno, accolse ragazze, donne , vedove e maritate che per qualsiasi ragione si fossero rivolte a lei. Non indagò sul passato di nessuno, ma chiese a tutte di accettare e rispettare la disciplina interna che aveva imposto nella casa-famiglia. Ben presto molte di esse, scelsero di non tornare più dalle proprie famiglie d’origine, ma di continuare a vivere di preghiera e a praticare la carità nell’ambito di una comunità giuridicamente laica ma religiosa per impegno, regole e modalità di vita, aperta ai bisogni della città e della società.

L’inizio formale dell’opera

L’aumento delle presenze nella casa del Monte Calvario spinse Virginia, nel 1633, a prendere in affitto dal genero, Benedetto Baciadonne, una villa suburbana lungo il fiume Bisogno. Lì trasferì una ventina di giovani (tra le migliori per pietà, disciplina e lavoro) dando loro un’impronta religiosa, ma senza voti. A questa casa se ne aggiunse una terza presso la chiesa di S.Bartolomeo, con lo stesso  ordinamento. Avendo ormai tre case, con circa 300 ricoverate, la Bracelli pensò di farne un’opera unica. Il 28 novembre del 1635 si rivolse con una supplica al Senato per riceverne il riconoscimento ufficiale. Lo ebbe con un rescritto del 13 dicembre dello stesso anno. Per dare vita duratura alla sua opera Virginia si rivolse, poi, alla Magistratura che pose la comunità sotto il “patrocinio” di personalità civili designate da un’istituzione pubblica. Giovanni Lomellini, Giacomo Filippo Durazzo e Gio Francesco Granello, che già si dedicavano a sopperire ai vari bisogni dell’opera, ne furono nominati “Protettori” ufficiali con decreto della Repubblica del 3 luglio del 1641. Questa data è stata considerata da alcuni storici quella dell’inizio del Conservatorio del Rifugio. Ai primi Protettori si aggiunse poi il nobile e ricco Emanuele Brignole, che lasciò all’opera i propri beni e il proprio nome.